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Uno spaccato delle donne iraniane, il racconto della loro innegabile forza, i diritti non riconosciuti, le lotte. La contraddizione del loro mondo, tra le regole con cui sono costrette a confrontarsi e il ruolo di punto cardine nella società. Il rapporto con la cultura e le loro battaglie attraverso la scrittura.
La cultura delle donne iraniane
L’immagine che spesso abbiamo della donna iraniana è quella trasmessa dai mass-media: una personalità sottomessa e vittima dell’autorità religiosa. Ma è proprio così? A dirla tutta le donne iraniane, anche se discriminate dalla legge, hanno da sempre avuto la capacità di conquistare un ruolo centrale nella società. A parlare sono i numeri: già dalla scuola elementare le bambine sono più numerose dei bimbi e all’università le studentesse costituiscono una presenza più massiccia rispetto agli studenti, anche in facoltà considerate tipicamente maschili, come ingegneria ed informatica.
Aziende multinazionali affidano loro sempre più spesso ruoli di responsabilità o sono imprenditrici di se stesse, anche in settori come quello petrolifero. Non da meno le cariche politiche che diverse donne ricoprono, una conquista impensabile fino a non molti anni fa. Se è vero, poi, che l’acutezza è femmina, nel caso specifico emerge prepotentemente nella capacità di sfruttare positivamente eventi negativi.
Un esempio su tutti è l’imposizione della separazione dei sessi nel sistema sanitario e scolastico: questa misura discriminatoria ha in realtà consentito a molte donne di trovare lavoro come medico o insegnante, grazie soprattutto all’istruzione gratuita. Anche un evento drammatico come la guerra Iran-Iraq ha avuto paradossalmente risvolti positivi, perché con gli uomini al fronte, il numero delle donne introdotte nel mercato del lavoro è aumentato in maniera esponenziale, dando loro una stabilità lavorativa e professionale.
Di contro, però, c’è l’imposizione del velo. L’intolleranza verso una regola così rigida è sempre più forte, soprattutto nella capitale Teheran: qui spesso, il tradizionale e castigato hijab, viene sostituito da foulard colorati. Per chi non lo sapesse la religione in Iran impone alle donne di coprire i capelli, giustificando l’autoritario provvedimento con l’incapacità dell’uomo di far funzionare il proprio freno inibitorio di fronte alla visione di una chioma femminile scoperta. La questione del velo è, quindi, decisamente complessa e può essere misurata sui piatti di una bilancia per capire da che parte pende il buono: ad oggi c’è una certa tolleranza, ma con tutti i limiti del caso (non si può sottovalutare la polizia religiosa).
Tra i più audaci tentativi di ribellione in tal senso, la pagina Facebook (My stealthy freedom) della giornalista Masih Alinejad, costretta a vivere in esilio tra New York e Parigi e che invita le donne ad essere libere di scegliere se indossare il velo oppure no. Tra foto di chiome libere al vento di chi la segue assiduamente spiccano anche quelle di teste rasate, aprendo la strada ad un nuovo dubbio politico- religioso: chi ha i capelli cortissimi è obbligata a portare comunque il velo? Scrive una donna su My stealthy freedom:
Ho venduto i miei capelli per aiutare questi adorabili piccoli angeli colpiti dal cancro. Una volta in strada, mi sono detta: niente capelli, niente polizia religiosa! Coloro che mi dicono ogni giorno di velarmi i capelli, non hanno più alcuna buona ragione di dirmi di coprirmi o di arrestarmi, per il momento.
Insomma, essere donna in Iran è ancora una battaglia che si combatte tutti i giorni, i divieti sono di ogni tipo. Un altro esempio? L’uso della bicicletta. La domanda per noi sorge spontanea: ma davvero l’universo femminile iraniano deve lottare anche per l’utilizzo della bici? Ebbene sì, anche in questo caso esiste un curioso divieto. Per gli esponenti religiosi iraniani una donna che va in bici costituisce una minaccia per la morale, una visione tanto maschilista da trasformarsi in pane per i denti di alcune attiviste, che per tutta risposta hanno deciso di incoraggiare un movimento contrario e ribelle.
In Iran in realtà, non esiste alcuna legge che vieti l’uso femminile della bici, ma quando nel luglio del 2016 alcune di loro che provarono a partecipare ad un evento di ciclismo nella città di Marivan, furono arrestate e liberate solo dopo aver firmato una attestazione in cui dichiaravano che non avrebbero più utilizzato la bicicletta, l’opinione pubblica si indignò tanto che la massima autorità religiosa iraniana fu costretta ad emanare una fatwā (dispensa), in cui si affermava che le donne sono, sì, libere di andare in bici, ma non in pubblico. Un paradossale provvedimento che scatenò il putiferio, soprattutto sui social, dove moltissime donne cominciarono a postare le proprie foto in bicicletta.
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