Aleksandr Puškin: il poeta che ha rivoluzionato la lingua russa, ha scritto gli inni d’amore più belli ed ha cantato la libertà. Scopriamolo insieme attraverso alcune delle sue opere e delle sue poesie migliori.

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Aleksandr Sergeevič Puškin, questo il suo nome completo, è considerato il padre della lingua russa moderna. Nato a Mosca il 6 giugno 1799 da una famiglia nobile, della quale lo scrittore si vanterà spesso, nelle sue vene scorre anche sangue africano. Uno dei suoi antenati era infatti Gannibal, un principe abissino arrivato alla corte di Pietro il Grande, che conquistò la fiducia del sovrano divenendone il favorito.

L’ammirazione che Puškin nutre verso i suoi familiari è solo una faccia della medaglia, l’altra ci mostra dei genitori poco presenti ed occupati a rispettare la nobile arte della vita mondana; al giovane scrittore, quindi, non resta che rifugiarsi nella letteratura. Tra i volumi della biblioteca del padre, trova testi appartenenti alla letteratura francese come Voltaire, Rousseau e Molière. Saranno proprio queste letture che lo renderanno, in seguito, uno dei maggiori portavoce della libertà individuale. Lo zar Alessandro I lo esiliò infatti nel sud della Russia a causa della sua Alla Libertà, lirica dal contenuto chiaramente antizarista.

Durante i suoi numerosi spostamenti, Puškin si aggiudica la fama di Don Giovanni che giova però solo alla sua poesia. Sarà proprio a causa di un duello amoroso, che il poeta perderà la vita il 10 febbraio 1837 .

Puškin poesie

Cresciuto in un ambiente intriso di poesia e di letteratura, Puškin si esercita nella composizione fin dalla sua infanzia. Abituato alla lettura di testi in francese, è proprio questa la lingua che utilizza in alcuni dei suoi primi esperimenti poetici. Ma è a Carskoe Selo, durante gli anni del liceo, che la sua formazione intellettuale e spirituale si arricchisce. La sua tecnica compositiva migliora tanto che le sue poesie non impallidiscono davanti ai membri della società della lampada verde, della quale Puškin fa parte insieme ai più noti Žukovskij e Batjuškov.

I temi e le ragioni: partendo dal linguaggio, possiamo dire che Puškin è un novello Dante perché proprio come lui, sceglie di usare per i suoi versi una lingua meno aulica allontanandosi dal modello che gli offriva la poesia classica russa. Questo linguaggio nuovo gli permette di dare sfogo alla sua libertà d’espressione e di creare quello che è ormai considerato il primo capolavoro della letteratura russa: l’Evgenij Onegin. Scritto tra il 1823 e il 1831, questo poema sarà il pozzo dal quale tutti i più grandi scrittori russi attingeranno. Fëdor Dostoevskij ne esalterà l’importanza parlando di Puškin come colui che

ha mostrato la vera profondità del nostro essere, della nostra società postasi al di sopra del popolo, dipingendoci questo tipo di vagabondo russo esistente ancora ai nostri giorni; egli per primo ha intuito, con l’autentica intuizione del genio, il suo destino storico […] e ha saputo mettergli accanto un tipo positivo di incontestabile bellezza, nella figura della vera donna russa.

Il vagabondo russo è Onegin, un ricco ed egocentrico giovane di Pietroburgo che decide di ritirarsi in campagna. Qui stringerà amicizia con Lenskij, un poeta dall’animo nobile, e i due frequenteranno la casa dei Larin dove quest’ultimo si fidanzerà con Ol’ga (una delle figlie). Tat’jana invece mette gli occhi addosso ad Onegin, il quale la ignora e finge di corteggiare Ol’ga scatenando l’ira dell’amico. Lenskij indispettito lo sfida a duello, nel quale però trova la morte. La vera donna russa ricordata da Dostoevskij è Tat’jana che ha la forza di rifiutare il corteggiamento di Onegin, avvenuto quando la donna era ormai sposata.

Uomini annoiati ed afflitti dal male di vivere, altri costretti a dover scegliere tra la felicità personale ed il dovere; questi sono alcuni dei temi che il poeta ha saputo raccontare per la prima volta. A differenza dei suoi personaggi, Puškin sa perfettamente da che parte stare e rifiuta qualsiasi tipo di catena.

Siamo liberi uccelli, fratello, è ora di andare!

Nell’ampia raccolta di poesie di Puškin troveremo spesso questo desiderio di libertà, che non è però un sentimento egoistico; il poeta vorrebbe poter liberare ogni anima esistente sulla Terra. A proclamarlo cantore della libertà è il poemetto Gli zingari (1824), nato da un’esperienza realmente vissuta. Puškin vede in questo popolo di nomadi l’esempio perfetto di ribellione contro il sistema.

Una ribellione silenziosa, portata avanti giorno dopo giorno. Uno zingaro è colui che decide di restare fuori dalla società non soffrendone, perché quando si rinuncia ai beni materiali ed al superfluo, quello che rimane è l’essenza delle cose.  Il protagonista del poema è Aleko, un uomo a cui sta stretto il ruolo impostogli dalla società russa e che decide, come una falena, di avvicinarsi alla luce emanata dal popolo Rom. Aleko sente che la vita nomade può regalargli la serenità che tanto cerca.

Ecco dov’è la via d’uscita, ecco dov’è forse la mia felicità, qui, nel grembo della natura, lontano dal mondo, qui, presso gli uomini che non conoscono civiltà e leggi!”

Ma entrare a far parte del mondo rom si rivela un’impresa ardua, in Aleko vivrà sempre il conflitto tra l’uomo che era prima e quello che vorrebbe diventare. L’uomo moderno, è davvero disposto a lasciare tutto ciò che il passato, la società e la famiglia gli ha donato? “La verità non è al di fuori di te, ma in te stesso, ritrova te in te stesso, sottometti te a te stesso, diventa padrone di te, e tu vedrai la verità. Questa verità non è nelle cose, non è fuori di te e non al di là di qualche mare, ma prima di tutto nel tuo proprio lavoro su te stesso. Se ti vincerai e ti umilierai, diventerai libero, come non hai mai immaginato che si possa essere, […].”

Ad Aleksandr Puškin va il merito di aver fatto poesia nel significato più ampio del termine, perché durante la sua vita si è ritrovato alle prese con diversi generi letterari. Poemi, poesie, favole e fiabe, teatro, saggi e narrativa in prosa; in tutti questi generi ha saputo portare innovazione linguistica e tematica.

Ma a renderlo immortale sono le sue poesie, nelle quali riesce con apparente semplicità a esprimere appieno i suoi ideali. I suoi versi sono intensi e carichi di quello spirito sognante, libero e combattivo che lo contraddistingue. Considerato un vero Don Giovanni, Puškin era un estimatore della bellezza femminile e ci ha lasciato le più belle poesie d’amore della letteratura russa. Le sue donne sono delle visioni, ricordano dei profumi, dei luoghi o portano alla memoria del poeta ricordi tristi e malinconici. Puškin è un amante tenero e rispettoso, se rifiutato non s’infuria, ed augura alla sua donna di incontrare altri amori.

Non aggiungiamo altro e vi lasciamo alla lettura di quelle che, secondo noi, sono le sue poesie più evocative. E se amate assaporare la bellezza delle liriche originali, sarete contenti di poter leggere le poesie di Puškin in russo. Buona lettura!

Poesie Puškin: in lingua originale

Элегия

Безумных лет угасшее веселье

Мне тяжело, как смутное похмелье.

Но, как вино – печаль минувших дней

В моей душе чем старе, тем сильней.

Мой путь уныл. Сулит мне труд и горе

Грядущего волнуемое море.

Но не хочу, о други, умирать;

Я жить хочу, чтоб мыслить и страдать;

И ведаю, мне будут наслажденья

Меж горестей, забот и треволненья:

Порой опять гармонией упьюсь,

Над вымыслом слезами обольюсь,

И может быть на мой закат печальный

Блеснёт любовь улыбкою прощальной

ВАКХИЧЕСКАЯ ПЕСНЯ

Что смолкнул веселия глас?

Раздайтесь, вакхальны припевы!

Да здравствуют нежные девы

И юные жены, любившие нас!

Полнее стакан наливайте!

На звонкое дно

В густое вино

Заветные кольца бросайте!

Подымем стаканы, содвинем их разом!

Да здравствуют музы, да здравствует разум!

Ты, солнце святое, гори!

Как эта лампада бледнеет

Пред ясным восходом зари,

Так ложная мудрость мерцает и тлеет

Пред солнцем бессмертным ума.

Да здравствует солнце, да скроется тьма!

Я вас любил

Я вас любил: любовь ещё, быть может,

В душе моей угасла не совсем;

Но пусть она вас больше не тревожит;

Я не хочу печалить вас ничем.

Я вас любил безмолвно, безнадежно,

То робостью, то ревностью томим;

Я вас любил так искренне, так нежно,

Как дай вам бог любимой быть другим.

 

 Puškin poesie d’amore

Ti amai

Ti amai, anche se forse

ancora non è spento del

tutto l’amore.

Ma se per te non è più tormento

voglio che nulla ti addolori.

Senza speranza, geloso,

ti ho amata nel silenzio e soffrivo,

teneramente ti ho amata come

Dio voglia un altro possa amarti.

 

Ricordo il meraviglioso istante

Ricordo il meraviglioso istante

davanti a me apparisti tu,

come una visione fugace,

come il gesto della pura bellezza.

Nei tormenti di una tristezza disperata,

nelle agitazioni di una rumorosa vanità,

suonò per me a lungo la tenera voce,

e mi apparvero in sogno i cari tratti.

Passarono gli anni.

Il ribelle impeto delle tempeste

disperse i sogni di una volta,

e io dimenticai la tua tenera voce,

i tuoi tratti celestiali.

Nella mia remota e oscura reclusione

trascorrevano quietamente i miei giorni

senza deità, senza ispirazione,

senza lacrime, senza vita, senza amore.

Ma venne dell’animo il risveglio:

ed ecco di nuovo sei apparsa tu,

come una visione fugace,

come il genio della pura bellezza.

E il cuore batte nell’inebriamento,

e sono per esso risuscitati di nuovo

e la divinità e l’ispirazione,

e la vita, e le lacrime e l’amore.

Si stendono muti nella notte oscura 

Si stendono muti nella notte oscura

di Grusia i colli, rumoreggia l’Aragva,

dinanzi a me. Triste son io, ma lieve,

dolce, raggiante è la tristezza,

piena di te sola, di te. Nulla amareggia…

nulla quest’alta solitudine turba,

e di nuovo il mio cuor s’accende ed ama

il cuor che a non amar si sforza invano.

Dichiarazione 

Io l’amo, sebbene già stregato,

so che è assurdo e vergognoso,

questo è un caso disastroso

che ai suoi piedi ho dichiarato!

So che è già tardi andar con tanto ardore,

è ora già di diventare saggi,

ma c’è nell’alma il mal d’amore,

di cui conosco i messaggi:

Noia… – sbadiglio, mentre lei è assente,

con lei però son triste e disperato,

trattengo a stento il mio richiamo ardente –

Io l’amo, il mio angelo adorato!

Appena sento dalla sala adiacente

il frusciante abito e il suo lieve passo,

o la sua voce pura e innocente,

rimango subito di sasso.

Lei mi sorride, e son raggiante,

e guai a me, se gira la sua testolina,

ma il premio del giorno per lo spasimante

è la sua pallida manina.

Se sul telaio articolato

lei sta finendo un ricamato,

i riccioli e il capo chino,

io muto, tenero, estasiato,

la ammiro, come fa un bambino!

Se le dicessi tutto il mio sconforto,

la mia ansia e gelosia angosciata,

quando, alle volte, col maltempo, ha torto

volesse andar lontano a far la passeggiata?

La adoro, quando piange solitaria,

quando parliamo in due all’angolino,

o si va a Opočka in gita rutinaria,

o quando suona il pianoforte vespertino!

Alina! Mio angelo! Sia la pietosa!

Non oso esigerle l’amore,

chissà, essendo un peccatore

non merito la casta rosa!

Ma finga almeno ch’io mi senta amato:

un solo sguardo da morosa!

Tanto ingannarmi è poca cosa!

Son lieto di essere ingannato!

L’addio

Il tuo volto una volta ancora

Con la mente oso carezzare,

In sogno con la forza del cuore,

Con diletto triste esitante,

Il tuo amore per me ricordare.

Il nostro tempo fugge via

Tutto muta e porta via con sé,

Per il tuo poeta, diletta mia,

Di tenebra tu sei già vestita,

E anche il poeta è morto per te.

Accogli dunque, amica lontana,

L’addio del mio cuore attristato.

Come sposa che vedova rimane,

Come amico che abbraccia in silenzio

Un amico che viene esiliato.

 

Poesie di Puškin

Le tre fonti

Nella steppa del mondo, triste e sconfinata,

sgorgarono tre fonti come d’incanto:

della giovinezza – rapida e ribelle –

ribolle, corre, brillando e gorgogliando;

la fonte di Castalia che con l’ispirazione

nella steppa del mondo gli esuli disseta;

l’ultima fonte – la fredda fonte dell’oblio,

che più di tutte placa la febbre del poeta.

L’uccellino

Osservo fedele un’antica usanza

Anche in una terra a me straniera:

Lasciare libero un uccellino

Nella chiara festa di primavera.

Ho provato un grande conforto,

Mio Dio, e una vera felicità,

Quando anche a una sola creatura

Ho potuto donare la libertà!

Il prigioniero 

Siedo nella prigione dietro la grata.

Giovane aquila nel servaggio allevata,

La mia triste compagna batte senza tregua

Le ali e becca la sanguinante preda,

Becca, e getta, e guarda alla finestra,

Quasi pensasse: «Una cosa sola resta»

Il suo sguardo chiama e sembra che un grido dia

E voglia dire: «Voliamo via! Voliamo via!

Siamo liberi uccelli, fratello, è ora di andare!

Là, dove azzurreggiano i paesi sul mare,

Là, dietro le nubi, dov’è il monte natio,

Là, dove voliamo soltanto il vento… ed io!..»

La musa 

Nella mia infanzia il suo amore mi donò

E un flauto a sette canne mi affidò.

Mi ascoltava sorridendo, quando esitante,

Sui sonori fori della canna vibrante,

Già sonavo con le mie dita delicate

Odi sublimi dagli dei ispirate,

E i placidi canti dei frigi pastori.

All’ombra muta delle querce le lezioni

D’una vergine arcana seguivo compreso,

E, allietandomi con un premio inatteso,

Dalla sua bella fronte un ricciolo scostato,

Dalle mie mani ella prendeva il flauto.

Un alito divino la canna animava

E di sacro incanto il mio cuore colmava.

[Leggi anche: neoclassicismo in letteratura]