Baal di Bertolt Brecht, già presentato al teatro Franco Parenti in forma di studio nel Festival Brecht, diventa, dal 22 novembre al 4 dicembre, diventa spettacolo grazie dal collettivo Phoebe Zeitgeist con la regia e le scene di Giuseppe Isgrò.
E’ un Baal potente, quello presentanto al Teatro Franco Parenti di Milano dal 22 novembre al 4 dicembre, che trascina emozionalmente lo spettatore, lo rapisce sul un palco caverna di incubi e sogni, di carnalità cruda e tragica, delirante e poetica, profondamente dionisiaca, tra Eros e Thanatos.
Baal, opera giovanile di Bertolt Brecht, come la divinità fenicia di cui porta il nome, è in realtà una creatura primitiva, animalesca, pronta a saziare senza alcun scrupolo i propri istinti in un susseguirsi di situazioni che ne rivelano l’assoluto cinismo e amoralità. Per poi tornare alla matrice primigenia e primitiva della natura selvaggia da cui non si era mai veramente staccato. Quasi che l’unica possibilità di recuperare la reale dimensione umana sia il ritorno alla forma primigenia di essa.
Bravissimi Enrico Ballardini, Francesca Frigoli, Dario Muratore, Margherita Ortolani che accompagnati dalla musica stridente di Elia Moretti riescono nel non facile intento di mettere in scena un testo forte ed inusuale, che gioca su più piani testuali, quello della commedia ma anche della ballata e della parodia, e che nell’intenzione del drammaturgo di Augusta voleva porre l’accento sui vizi della società borghese e sulla propria sofferenza ad essi.
Scritta nel 1918 e rappresentata a Lipsia nel 1923, questa “ballata drammatica” sembra apparentemente riprendere i temi e le forme di quei drammi del titanismo espressionista dell’epoca. Nei suoi tratti simbolici ed esteriori il protagonista di Baal appare come il “Super uomo” caro allo Sturm und Drang, quel genio che esprime la sua vitalità (creativa ma anche sessuale e biologica) fuori da ogni regola e norma sociale e umana, un cinico che squarcia il velo dell’ipocrisia umana ponendosi al di sopra di tutto e di tutti, fino a diventare assasino e poi cadavere.
Ma Brecht spoglia il personaggio da ogni romanticismo espressionista, rendendolo in tutte le sue manifestazioni, estremamente crudo e realistico, aggiungendo anche il vigore popolaresco dei dialettalismi. Ha scritto una volta lo stesso Brecht:
Baal è un essere asociale […] in una realtà asociale
Assente ogni significato “altro”. Per Brecht, il personaggio di Baal è esaltazione disincantata, nuda, e scevra da ogni complessa giustificazione, dell’individuo nei suoi impulsi più materiali. Il dramma colpisce duro, lascia il segno, scuote con le parole ma non solo. Al mezzo linguistico tradizionale si aggiunge nella weltanschauung brechtina quello di forme d’espressione diverse che insieme ad altri elementi operano quel famoso verfremdungseffekt (effetto di straniamento) di cui il regista tedesco fu maestro.
Sulla scena strumenti musicali e sonori di grande impatto diventano, infatti, linguaggio “altro” dalle parole in un gioco reciproco di scambio e sovrapposizione, che crea un nuovo registro di significato, forte e incisivo. Il dramma fa parte del gruppo dei Cantieri Bavaresi, che oltre Bertolt Brecht, comprende la drammaturga Marieluise Fleisser, i registi Werner Herzog, Reiner Werner Fassbinder e Herbert Achternbusch.
Gruppo da sempre impegnato non solo sull’indagine delle forme di esercizio del potere di cui Baal, rivisitazione del dramma Il solitario di Hans Johnst, è il primo terreno di sperimentazione, ma anche sullo scavo della forza misterica (e misteriosa) delle parole, che se inserite in un gioco di sintesi e sovrapposizione tra musica e corpi in azione ne svelano la potenza visiva e vanno oltre: squarciano l’anima. Come il coltello insanguinato di Baal.