Zerocalcare Kobane Calling: video recensione dell’ultimo libro del fumettista aretino, che racconta la guerra in medio oriente, da ogni punto di vista.
I cuori non sono tutti uguali. Si modellano, si sagomano, sulle esperienze. Come un tronco che cresce storto adattandosi a quello che c’ha intorno. E tutto quello che ha dato forma al tuo.. Gli insegnamenti, le cose trasmesse, quelle che ti hanno fatto piangere, quelle che ti hanno fatto ridere. Il sangue che ti ribolliva dentro e quello che ti hanno fatto sputare fuori. Ogni cosa. Oggi sta a Kobane.
Un vecchio adagio recita “una volta vedere vale mille volte sentire”; da qui sembra partire la spinta che ha mosso il fumettista, aretino di nascita ma romano d’adozione, a compiere il viaggio dentro uno dei punti nevralgici dei conflitti in medio oriente: Kobane, uno dei luoghi di maggior scontro fra l’Isis che se ne era impossessato, e i resistenti curdi, che hanno lottato strenuamente per riprenderselo.
Il viaggio di Zero Calcare
Nel novembre del 2014, Zerocalcare (pseudonimo di Michele Rech) compie il suo primo viaggio verso il confine turco-siriano fermandosi a Mesher, piccolo villaggio in territorio turco a poche centinaia di metri da Kobane, una delle ultime resistenze curde agli attacchi dell’Isis che hanno invaso il Rojava, la striscia di terra siriana proclamata indipendente dai curdi siriani nel 2009. Dopo aver visto da vicino cosa stesse accadendo da quelle parti, Zerocalcare, alla notizia della liberazione di Kobane, nel luglio del 2015, decide di intraprendere un secondo viaggio, arrivando questa volta dentro il villaggio che aveva solo sfiorato la volta precedente, passando per l’Iraq, facendo tappa anche a Qandil, fra le montagne dove vivono altri guerriglieri. Ne esce un diario a metà fra quello di viaggio e di guerra, dove sono le emozioni forti a farla da padrona.
Il messaggio
Il grande merito di Zerocalcare è saper raccontare in modo semplice, ma mai semplicistico, un argomento poco chiaro o presentato in maniera fuorviante a chi vi si è interessato in maniera solo superficiale. Sicuramente traspare da che parte propende l’autore e la sua visione dei fatti, ma pur venendo anni trascorsi fra i centri sociali, come lui stesso ricorda, riesce a non risultare fazioso, né pretende di proporre la verità più giusta ed assoluta. Quello che ci restituisce è, però, un resoconto completo di quanto la vita e la percezione che si ha di essa possa cambiare a poche migliaia di latitudine dai comfort della nostra Europa “civilizzata”. Grazie alla sua sensibilità riesce a rendere con la maggior leggerezza possibile un argomento bello tosto e pesante, cercando di far arrivare il messaggio su quanto inconsistenti siano certi piccoli problemi per cui ci affliggiamo al confronto della sofferenza e la battaglia continua con cui convivono in quella terra di confine.
In Kurdistan c’è questa cosa strana. Pure quello che pare il ragionier Filini, che non gli daresti mai una lira, che s’accolla con le lenticchie come mi’ nonna.. c’ha una vita che Die-Hard duri a morire je spiccia casa. E ti fa sempre sentire lo scemo del villaggio.
Dentro un altro sguardo
La mossa giusta che dà veridicità e profondità al racconto è saperlo riportare non solo con suoi occhi di italiano, ma sapervi alternare i racconti di chi questa battaglia la combatte da anni, usando le loro stesse parole, con le loro storie, con le loro dimostrazioni di resistenza, ricevendo una lezione di forza di volontà che faremmo tutti bene a prendere come insegnamento. Riesce inoltre a sfatare molti luoghi comuni, ad esempio che questa guerra non si combatte da quattro anni (ovvero da quando i notiziari hanno cominciato ad interessarsene di più per altre ragioni) ma da ben quaranta. Che molte volte le colpe non ricadono sui colpevoli; che non sempre il giusto basta ad attirarsi i favori di tutti, ma è il conveniente a guidare le azioni della maggioranza, ancor di più in zona di guerra. Insomma, quest’ultimo libro di Zerocalcare cerca di risvegliare le nostre coscienze e lo fa senza pretenderlo, ma solo mettendoci davanti una luce così forte da costringerci almeno ad aprire un poco di più gli occhi. E se pensate sia solo un fumetto o in generale non ne siete appassionati, andate oltre, non sapete quanta vita vi aspetta dentro queste pagine.
Queste sono le prime cose che si sentono a Qandil. Una grande pazienza. Una grande determinazione. Un grande dolore. O forse è una cosa sola che le raggruppa tutte e tre in un nome unico, ma nel nostro mondo abbiamo dimenticato come si chiama.