Uno spaccato delle donne iraniane, il racconto della loro innegabile forza, i diritti non riconosciuti, le lotte. La contraddizione del loro mondo, tra le regole con cui sono costrette a confrontarsi e il ruolo di punto cardine nella società. Il rapporto con la cultura e le loro battaglie attraverso la scrittura.

donne iraniane

Copyright foto: Facebook @My stealthy freedom

 La cultura delle donne iraniane

L’immagine che spesso abbiamo della donna iraniana è quella trasmessa dai mass-media: una personalità sottomessa e vittima dell’autorità religiosa. Ma è proprio così? A dirla tutta le donne iraniane, anche se discriminate dalla legge, hanno da sempre avuto la capacità di conquistare un ruolo centrale nella società. A parlare sono i numeri: già dalla scuola elementare le bambine sono più numerose dei bimbi e all’università le studentesse costituiscono una presenza più massiccia rispetto agli studenti, anche in facoltà considerate tipicamente maschili, come ingegneria ed informatica.

Aziende multinazionali affidano loro sempre più spesso ruoli di responsabilità o sono imprenditrici di se stesse, anche in settori come quello petrolifero. Non da meno le cariche politiche che diverse donne ricoprono, una conquista impensabile fino a non molti anni fa. Se è vero, poi, che l’acutezza è femmina, nel caso specifico emerge prepotentemente nella capacità di sfruttare positivamente eventi negativi.

Un esempio su tutti è l’imposizione della separazione dei sessi nel sistema sanitario e scolastico: questa misura discriminatoria ha in realtà consentito a molte donne di trovare lavoro come medico o insegnante, grazie soprattutto all’istruzione gratuita. Anche un evento drammatico come la guerra Iran-Iraq ha avuto paradossalmente risvolti positivi, perché con gli uomini al fronte, il numero delle donne introdotte nel mercato del lavoro è aumentato in maniera esponenziale, dando loro una stabilità lavorativa e professionale.

Di contro, però, c’è l’imposizione del velo. L’intolleranza verso una regola così rigida è sempre più forte, soprattutto nella capitale Teheran: qui spesso, il tradizionale e castigato hijab, viene sostituito da foulard colorati. Per chi non lo sapesse la religione in Iran impone alle donne di coprire i capelli, giustificando l’autoritario provvedimento con l’incapacità dell’uomo di far funzionare il proprio freno inibitorio di fronte alla visione di una chioma femminile scoperta. La questione del velo è, quindi, decisamente complessa e può essere misurata sui piatti di una bilancia per capire da che parte pende il buono: ad oggi c’è una certa tolleranza, ma con tutti i limiti del caso (non si può sottovalutare la polizia religiosa).

Tra i più audaci tentativi di ribellione in tal senso, la pagina Facebook (My stealthy freedom) della giornalista Masih Alinejad, costretta a vivere in esilio tra New York e Parigi e che invita le donne ad essere libere di scegliere se indossare il velo oppure no. Tra foto di chiome libere al vento di chi la segue assiduamente spiccano anche quelle di teste rasate, aprendo la strada ad un nuovo dubbio politico- religioso: chi ha i capelli cortissimi è obbligata a portare comunque il velo? Scrive una donna su My stealthy freedom:

Ho venduto i miei capelli per aiutare questi adorabili piccoli angeli colpiti dal cancro. Una volta in strada, mi sono detta: niente capelli, niente polizia religiosa! Coloro che mi dicono ogni giorno di velarmi i capelli, non hanno più alcuna buona ragione di dirmi di coprirmi o di arrestarmi, per il momento.

Insomma, essere donna in Iran è ancora una battaglia che si combatte tutti i giorni, i divieti sono di ogni tipo. Un altro esempio? L’uso della bicicletta. La domanda per noi sorge spontanea: ma davvero l’universo femminile iraniano deve lottare anche per l’utilizzo della bici?  Ebbene sì, anche in questo caso esiste un curioso divieto. Per gli esponenti religiosi iraniani una donna che va in bici costituisce una minaccia per la morale, una visione tanto maschilista da trasformarsi in pane per i denti di alcune attiviste, che per tutta risposta hanno deciso di incoraggiare un movimento contrario e ribelle.

In Iran in realtà, non esiste alcuna legge che vieti l’uso femminile della bici, ma quando nel luglio del 2016 alcune di loro che provarono a partecipare ad un evento di ciclismo nella città di Marivan, furono arrestate e liberate solo dopo aver firmato una attestazione in cui dichiaravano che non avrebbero più utilizzato la bicicletta, l’opinione pubblica si indignò tanto che la massima autorità religiosa iraniana fu costretta ad emanare una fatwā (dispensa), in cui si affermava che le donne sono, sì, libere di andare in bici, ma non in pubblico. Un paradossale provvedimento che scatenò il putiferio, soprattutto sui social, dove moltissime donne cominciarono a postare le proprie foto in bicicletta.

 Conoscere le donne iraniane

Diverse testimonianze narrano che girovagando per le strade di Teheran si possano incontrare donne che abbiano voglia di parlare. Un gruppo di giovani italiani che si trovava in vacanza a Teheran racconta di essere stato spesso avvicinato da donne che facevano loro domande sul mondo occidentale o che volevano addirittura farsi fotografare. Si resero allora conto di essersi ritrovati a confrontarsi con donne curiose, intelligenti e comunicative. Sembra non sia difficile, quindi, passeggiando tra le strade delle città iraniane, nel periodo in cui, per esempio, si festeggia il capodanno, imbattersi in una giovane studentessa di Belle Arti o una donna medico o una donna ingegnere, con le loro visioni della realtà.

Sì è vero, molte di loro sono delle “sopravvissute” ad una lotta silenziosa contro l’integralismo, ma è proprio questa lotta silenziosa che sta portando, non proprio tacitamente i suoi frutti. Vero è che guardando Teheran dal di fuori verrebbe da dire che nulla è cambiato; sembra ci sia solo un’alternanza di “padroni”, ma esplorando questa realtà nella sua più recondita intimità, si può vedere non grazie alla politica, ma a dispetto della politica stessa, una rivoluzione culturale femminile che sta lentamente ridefinendo gli equilibri tra uomini e donne. Le parole di Khomeyni ancora oggi suonano decisamente contraddittorie e pesanti come un macigno:

Senza la famiglia islamica e l’uso dell’ hejab per le donne non ci potrebbe nemmeno essere la società islamica. Le donne sono i contrassegni dei confini della comunità islamica e le fautrici dell’identità islamica.

I diritti delle donne iraniane

Le silenziose ma accese lotte delle donne iraniane e i risultati ottenuti, si scontrano non poco  con quelli che sono i diritti loro riconosciuti o sarebbe meglio dire, con quelli che sono i diritti loro negati. L’Iran delude molto in questo senso: la condizione delle donne iraniane è stranamente ambivalente: tutto quello che riescono ad ottenere rimane un fatto ufficioso e viene fatto passare come forma di tolleranza; di contro tutto quello che a loro non viene riconosciuto, assume una forma ufficiale. Basta guardare alcune leggi e i loro “mancati” diritti per accorgersene:

  • Legge sull’incremento dei tassi di fertilità e sulla prevenzione del declino della popolazione: bandisce la sterilizzazione volontaria e ogni tipo di informazione sui metodi contraccettivi. È questa la causa di un maggior numero di gravidanze indesiderate (e di malattie veneree) che spingono le donne a ricorrere ad aborti praticati clandestinamente, causando un’elevata mortalità materna.
  • Legge quadro sulla popolazione e sulla esaltazione della famiglia: la legge impone a tutti gli enti pubblici di dare precedenza nelle assunzioni a uomini con figli, uomini sposati senza figli e donne sposate con figli. Un legge quindi discriminante nei confronti delle donne che non possono o non vogliono sposarsi o non possono avere figli. Una legge, che abbraccia anche il complicato e discusso argomento del divorzio: diventa quasi impossibile per una donna divorziare, come è altrettanto improbabile che le autorità riescano ad intervenire in situazioni di violenza sulle donne in famiglia.
  • Le donne iraniane hanno diritto di voto dal 1963una bella conquista, ma di fronte ad un’attenta analisi, ci si può accorgere di quanto sia lacunosa, visto che sono ancora tante le discriminazioni nel sistema giuridico. La testimonianza di una donna in tribunale ha un valore decisamente inferiore rispetto a quella di un uomo; se una donna venisse assassinata o ferita, il risarcimento spettante sarebbe la metà rispetto a quello di un uomo. Le figlie femmine ereditano molto meno rispetto ai figli maschi. Insomma si è fatto tanto per una evoluzione femminile in tal senso, ma tanto ancora c’è da fare.
  • Le donne non hanno diritto genitoriale: non possono dare la cittadinanza ai propri figli, si impoveriscono totalmente in caso di divorzio e in caso di vedovanza  spetta solo una parte del patrimonio del marito.
  • Le pene subite dalle donne iraniane: si deve pensare che per le “bambine” la responsabilità penale inizia dall’età di 9 anni, per i “bambini” a poco meno di 15 anni. La violenza domestica non è considerata reato e le relazioni tra lesbiche vengono punite con 100 frustate e dopo quattro volte di recidività, scatta la pena di morte. Ancora ad oggi si susseguono arresti, per quelle ragazze che postano foto senza veli. La modella Elham Arab, nota per i suoi capelli biondi tinti, si è dovuta scusare pubblicamente in un filmato trasmesso dalla tv pubblica iraniana, dove asserisce che il prezzo da pagare per mostrarsi belle e cercare la fama è perdere l’onore. I suoi capelli sono tornati ad essere neri.

Non si pensi però che le donne se ne stiano in disparte e che non mettano in atto proteste o atti dimostrativi di nessun genere, tutt’altro. Un’iniziativa che ha fatto scalpore risale al 2012, quando un gruppo di iraniane che vive in esilio in Europa, decise di realizzare un calendario, in cui mostrano il loro corpo nudo. “My body my soul” nacque per manifestare il dissenso contro l’oppressione femminile in Iran e con lo scopo di sostenere la vendita del calendario “Nude Photo Revolutionaries” realizzato in solidarietà con la blogger egiziana Aliaa Magda el Mahadi, conosciuta per aver postato alcune immagini in cui appare nuda. L’attivista Maryam Namazie ideatrice del calendario spiega:

A noi donne in Iran chiedono di velarci, legarci ed imbavagliarci. Di fronte a  tutto questo, rompere i tabù e mostrarci nude è una forma importante di resistenza

Insomma, le donne iraniane in un calendario sono una risposta concreta alla sottomissione imposta dalle autorità e anche a sostegno della protesta contro il divieto di rientrare in patria per aver posato nuda, imposto all’attrice Golshifteh Farahani.

Donne iraniane e letteratura

Provando a guardare l’Iran con gli occhi di una iraniana non si può non vedere e percepire un mondo sdoppiato: una serie di diritti non riconosciuti e discriminazione sessuale da una parte e lo sforzo delle donne di cogliere il buono da quello che di negativo c’è, dall’altra. Un universo femminile intellettuale pronto a confrontarsi anche con il mondo letterario. È decisamente elevata la presenza di donne nel mondo degli scrittori, infatti: sono femminili i racconti di denuncia di sottomissione e repressione, così come le rievocazioni storiche.

In realtà le donne in Iran hanno sempre scritto, ma la novità è che è stata autorizzata la pubblicazione dei loro lavori visto che in ogni caso è un’attività domestica che non implica la presenza in società, quindi lecita e moralmente accettabile. Naturalmente la necessità femminile di scrivere va a braccetto con quella di leggere. Indissolubilmente e negativamente correlata alla produzione letteraria è la censura, i cui regolamenti non sono ben chiari. A tal proposito l’iranista Bianca Maria Filippini che con Felicetta Ferraro (già addetto culturale dell’ambasciata italiana in Iran) e l’antropologa Irene Chellini, ha fondato nel 2009 la casa editrice Ponte 33 racconta:

A volte i libri escono e poi vengono ritirati. La censura si applica soprattutto al sesso e naturalmente alla politica, però gli autori hanno imparato a gestire il loro modo di scrivere, usando con grande naturalezza l’ambiguità letteraria, facendone un punto di forza. È una tradizione che riguarda anche la poesia che, fino ai primi del Novecento, è stata la forma privilegiata di scrittura

Donne scrittrici iraniane

Donne produttrici di cultura quelle iraniane, al contrario di quello che è il pensiero comune fuori dal paese. Rappresentano ormai un fenomeno culturale che sfugge al controllo del regime; donne iraniane famose, che attraverso la loro penna mettono in atto la protesta. Tra le tante scrittrici iraniane, spiccano dei nomi che hanno fatto e faranno la storia.

Tahirih

Fátimih Zarrín Táj Baragháni, o Táhirih nasce tra il 1814 e il 1817 (la sua data di nascita non è ben definita) a Quazvin. È stata una grande poetessa teologa del Babismo, spesso rievocata come un esempio di coraggio nella lotta per i diritti delle donne. Táhirih fa parte di  una famiglia di religiosi islamici  e durante la sua infanzia le viene consentito di studiare: è infatti riconosciuta la sua grande capacità di memorizzare il Corano. All’età di quattordici anni si sposa con suo cugino, ma la sua educazione religiosa la porta ad entrare in contatto, contro la volontà della sua famiglia, con i rappresentanti dello Shaykhismo, un movimento sciita eterodosso.

Decisione che porta alla rottura del suo matrimonio. Si trasferisce, quindi, a Karbala per far visita a Siyyid Kázim, fondatore dello Shaykhismo, ma essendo già morto le viene concesso di continuare gli studi nella sua casa. Nel 1844 riconosce la rivelazione di Ali Muhammad, il Bab come messia, diventandone così la sua diciassettesima discepola, o Lettera del vivente (titolo conferito dal Bab ai suoi primi diciotto discepoli), unica donna del gruppo, la seguace più fedele. La donna inizia così a diffondere la nuova religione, il Babismo, che potrà annoverare diversi seguaci dello Shaykhismo.

La conferenza di Badasht che si svolge nel 1848, però, segna la rottura tra il Babismo e l’Islam e la scrittrice si convince non solo che il messaggio del Bab indichi proprio questa scissione, ma che ne abroghi anche le leggi.  Così si presenta senza il tradizionale velo, cosa all’epoca considerata una vera blasfemia. In ogni caso, la sua linea risulta vincente, il Babismo diventa una religione autonoma che riconosce il Corano, ma non la Sharīa (le sue leggi). La conferenza, però, segna anche l’inizio della persecuzione e della repressione dei babisti da parte delle autorità governative. Nell’Ottobre del 1852 trenta babisti furono uccisi tra cui Táhiri, che prima di morire disse:

 Potete uccidermi quando volete, ma non potete fermare l’emancipazione delle donne

Ci sono varie testimonianze, sulle opere letterarie di Tahirih,; avrebbe scritto diverse poesie per perorare la causa femminile, ma non ve ne è traccia concreta, se non nelle opere di altri scrittori che la menzionano.

Forough Farrokhzad

Forough Farrokhzad nasce a Teheran nel 1935. Sfidando le autorità religiose e gli esponenti del governo più integralisti, la scrittrice denuncia con decisione la situazione e i sentimenti della condizione femminile tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta, diventando così icona della ribellione della donna attraverso la scrittura. Il ruolo di sottomissione femminile nel matrimonio, la condizione di donna non libera in alcun contesto, il non poter vivere il proprio corpo liberamente, le danno validi motivi per portare avanti la sua battaglia, non potendo così mai vivere una vita normale. Tra le sue opere spiccano La strage dei fiori, È solo una voce che resta – Canti di una donna ribelle del 900 e il suo unico documentario denuncia “Khanah siah ast” in riferimento alla situazione dei lebbrosi in Iran, pluripremiato in tutto il mondo. Muore nel 1967 in un incidente stradale.

Shirn Ebadi

Shirn Ebadi avvocato e pacifista iraniana, nasce ad Hamadan nel 1947 e dopo aver studiato giurisprudenza a Teheran, diventa magistrato. Nel 1975 le viene assegnata la carica di presidente di una sezione del tribunale, ma in seguito alla rivoluzione islamica, è costretta come tutte le donne giudice ad abbandonare la magistratura. Nel 1992, quando ormai la sua carriera di scrittrice è avviata, ottiene il permesso di svolgere la professione di avvocato, aprendo un proprio studio ed occupandosi della difesa di ribelli in conflitto con il sistema. Nel 2003 le viene conferito il premio Nobel per la pace, che però le viene confiscato dalla polizia. Tre sono  le sue opere: il suo ultimo romanzo biografico Finché non saremo liberiLa gabbia d’oroIl mio Iran. Una vita di rivoluzione e Speranza.

Shahmush Parsipur

Shahrnush Parsipur nasce nel 1946 a Teheran. Nel 1967 inizia a lavorare per la Radio-Televisione iraniana come redattrice e produttrice di programmi, ma per protestare contro le malefatte governative si dimette e viene arrestata dalla polizia segreta dello Scià. La sua carcerazione dura prima due mesi, poi 4 anni, pur essendo priva di un’accusa formale. Nel 1976 pubblica il romanzo Il cane e il lungo inverno, mentre l’anno successivo esce una raccolta di racconti intitolato Orecchini di cristallo. La pubblicazione del romanzo Tuba e il senso della notte nel 1989 le regala un notevole successo presso i circoli letterari di Teheran.

Nel 1990, pubblica il romanzo Donne senza uomini, che viene, ovviamente, censurato. La scrittrice, però, non si lascia intimorire: nel 1992 pubblica il suo quarto romanzo, una storia di mille pagine su un Don Chisciotte al femminile, dal titolo La ragione dipinta di blu. L’autrice ormai famosa in tutto il mondo, viene invitata a tenere meeting e seminari in diversi paesi esteri e pur non potendo lasciare l’Iran riesce comunque a diffondere il suo pensiero in diversi paesi europei e negli Stati Uniti. Nel 1993 riceve il Premio Lillian Hellman/Dashiell Hammett per il coraggio dimostrato nella lotta contro il potere delle autorità e tutti i suoi romanzi vengono banditi dall’Iran, mentre lei viene mandata in esilio negli Stati Uniti, dove tutt’ora vive.

Insomma, le donne iraniane hanno segnato la storia, sacrificando da sempre la loro esistenza per la causa. Donne esiliate o costrette a lasciare il proprio paese perché perseguitate. Una famosa attivista che preferisce restare anonima, dichiara su un social che la grave pecca della lotta per l’emancipazione femminile in Iran è data dal fatto che le combattenti più rappresentative non sono in patria e portano avanti la loro lotta dall’estero. Il percorso per una totale emancipazione è lungo; tanto è stato ottenuto, ma il coraggio e l’intraprendenza delle iraniane tanto dovranno ancora fare.