Cannes 2016: anche quest’anno cala il sipario sul Festival definito come uno dei più degli ultimi anni, con proiezioni del tutto diverse tra loro e dalle tonalità emozionali forti e alle volte contraddittorie. Ma la domanda è una sola: Chi ha vinto e chi ha perso?
Prima di tutto parliamo della giuria: in questa edizione è stata presieduta da George Miller che affiancato da Kirsten Dunst, Vanessa Paradis, la nostra Valeria Golino, Donald Sutherland, Mads Mikkelsen, László Nemes, Arnaud Desplechin e Katayoon Shahabi. Assegnata la Palma d’oro al film I, Daniel Blake del regista britannico quasi ottantenne Ken Loach,di nuovo vincitore a dieci anni da “Il vento che accarezza l’erba”, che ha impresso un tono politico e sociale al Palmarès.
Il Grand Prix de la Jury, consegnato dalla nostra Valeria Golino e da Donald Sutherland, è andato a Juste la fin du monde con cui l’enfant prodige canadese Xavier Dolan (26 anni e sei lungometraggi all’attivo) firma il suo primo film con un cast di superstar da una pièce di Jean-Luc Lagarce. Il regista, visibilmente emozionato, in un lunghissimo discorso ha dedicato il premio alla sua famiglia “con cui mi sento molto meglio del mio protagonista con la sua. Tutto quello che si fa nella vita si fa per essere amati, almeno è quello che faccio io”.
Ex aequo per il premio per la regia, andato al romeno Christian Mungiu per Bacalaureat già Palma d’oro nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (la drammatica storia di un aborto clandestino)e al regista francese Assayas con Personal Shopper ha firmato una storia di fantasmi nel mondo della moda, un film cucito addosso a Kristen Stewart già protagonista lo scorso anno di Sils Maria, con cui Assayas ha partecipato al concorso.
All’attrice filippina Jaclyn Jose è andato il premio per la migliore interpretazione femminile. L’attrice è la protagonista di Ma’ Rosa del regista filippino Brillante Mendoza; il Premio della giuria è stato assegnato alla regista inglese Andrea Arnold e al suo American Honey, un on the road americano che ha per protagonista un cast di giovanissimi esordienti, eccezion fatta per il divo Shia Laboeuf.
Doppio riconoscimento per il film iraniano Il cliente di Asghar Farhadi, che ha conquistato il premio per la miglior sceneggiatura e quello per la migliore interpretazione maschile. “Sono felice di portare della gioia al mio popolo che non è conosciuto nel mondo per essere gioioso” ha detto il regista, sorpreso dei due riconoscimenti. Il premio per il miglior attore è andato a Shahab Hosseini, protagonista del thriller psicologico del regista premio Oscar per La separazione.
Arnaud Desplechin ha conferito la Palma d’onore a Jean Pierre Léaud, quello che viene definito come l’attore feticcio di Truffaut, con il suo Antoine Doinel. Prima del premio e della standing ovation, il protagonista di I quattrocento colpi è stato omaggiato con una clip di film del suo scopritore, ma anche di Godard, Bertolucci, Pasolini con bellissime immagini dal film-manifesto della Nouvelle Vague. “Sono nato a Cannes nel ’59 con Truffaut e il suo film d’esordio, e tutta la vita ho cercato di rispondere al quesito di Bazin ‘cos’è il cinema’” ha detto l’attore, visibilmente emozionato dopo la premiazione.
Infine la Camera d’or, il premio assegnato dalla giuria guidata da Willem Dafoe al miglior film d’esordio, è andata a Divines, ambientato nelle banlieue. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs, il film è firmato dalla regista franco marocchina Houda Benyamina. Purtroppo nessun premio per l’unico film italiano in concorso: Pericle il Nero, evidentemente i selezionatori francesi hanno preferito far saltare un turno agli italiani dopo il terzetto del 2015 siglato da Garrone, Moretti e Sorrentino.
Tuttavia, nell’incontro con la stampa seguìto alla premiazione il presidente di giuria George Miller ha voluto ricordare che “c’erano ventuno film in gara, ventuno registi e tantissimi attori, quindi c’erano moltissime variabili e noi avevamo solo otto premi; ci sarebbero stati altri film che avrebbero dovuto essere premiati sicuramente e film che avrebbero dovuto essere selezionati ma non lo sono stati. Il nostro dibattito è stato rigoroso e vigoroso. Abbiamo evitato di guardare cosa dicevano gli altri sui film perché abbiamo sentito forte la nostra responsabilità di giurati, e scelto di condividere solo fra noi il processo di decisione: una sorta di patto confidenziale come quello dei dottori, per cui non parlerò dei film che non abbiamo premiato. Abbiamo fatto del nostro meglio”.
Non abbiamo alcun dubbio della cosa, e ci prepariamo più agguerriti che mai in vista della prossima esagerata, scintillante, patinata edizione!