Best movie: il film della settimana è Sugarman, la storia di Sixto Rodriguez, un cantautore folk cresciuto nella Detroit degli anni ‘60.
Il 9 maggio 2013 la Wayne State Detroit ha concesso una laurea honoris causa a Sixto Rodriguez, per il suo “genio e l’impegno per la giustizia sociale musicale”. A leggerla così, la notizia sembrerebbe la giusta chiusura della brillante carriera di un musicista impegnato, il sigillo finale su una vita trascorsa fra tourneé, studi di registrazione, palchi e stadi. Invece questo è il regalo finale alla vita di un operaio di Detroit che tra il 1967 e il 1971 provava a seguire la sua vocazione artistica, pubblicando due album rimasti, però, praticamente invenduti e sconosciuti in tutta l’America, ma protagonista ed eroe inconsapevole di altre vite, vissute a migliaia di chilometri di distanza.
La storia di Sixto, sesto figlio di padre messicano e madre americana con discendenza dai nativi, racchiude in sé tutta la sfortuna e la sofferenza patita dai popoli delle sue origini. Siamo nel 1970 e produttori del calibro di Steve Rowland e Clarence Avant (gente che per intenderci ha lavorato con Miles Davies, Michael Jackson, Stevie Wonder, Cure) sono pronti a scommettere su questo ragazzo dall’aria timida (al suo primo concerto cantò quasi tutto il tempo di spalle al pubblico.) ma che nei suoi testi ha una forza e una poesia che loro stessi paragonano all’allora emergente Bob Dylan.
Le due carriere saranno però segnate da destini ben diversi, perché se del Menestrello abbiamo quarant’anni di successi a raccontarne la carriera, di Rodriguez si perdono le tracce subito dopo il 1971, anno di rescissione del contratto con la Sussex Record con cui aveva prodotto i suoi due album Cold Fact e Coming From Reality. Dall’altro capo del mondo, però, attraverso una strada ancora poco chiara, la sua musica arrivò. In Sudafrica infatti i suoi testi toccarono dritto al cuore un popolo in lotta contro gli orrori e le ingiustizie dell’apartheid. Testi come The Establishment Blues sembrano parlare proprio di loro raccontando di un’evasione anche solo con la fantasia, da una realtà che opprime, costringe e uccide:
The mayor hides the crime rate/ council woman hesitates / Public gets irate but forget the vote date / Weatherman complaining, predicted sun, it’s raining / Everyone’s protesting, boyfriend keeps suggesting / you’re not like all of the rest / Garbage ain’t collected, women ain’t protected / Politicians using, people they’re abusing / The mafia’s getting bigger, like pollution in the river
Per questo a metà degli anni ’70 in qualsiasi casa entrassi in Sudafrica, fra i dischi si trovava sempre Simon & Garfunkel, i Beatles e lui; e per lo stesso motivo i suoi dischi vennero presto censurati dal regime sudafricano e messi al bando, rendendoli però paradossalmente ancor più desiderati ed ergendoli a veri e propri simboli di ribellione; questa censura infatti non riuscì a fermarne la diffusione che passava soprattutto tramite copie pirata. Su di lui giravano varie voci, si diceva anche fosse morto suicida, sparandosi un colpo in testa sul palco alla fine di un concerto andato male. Insomma tutto su questa figura sembrava contribuire a dargli un’aura magica. Il tutto mentre l’ignaro Rodriguez continuava la sua vita fra lavori umili di manovalanza e i bar periferici della sua città.
Fu la maggiore delle sue figlie a trovare per caso un sito internet creato da tre fan sudafricani di suo padre che da anni si erano messi alla sua ricerca convinti fosse ancora vivo. E fu proprio lei a chiamare uno di loro in una notte americana del ’96 e a metterli in contatto col padre. Da qui riuscirono ad organizzare una breve tournée di cinque date in Sudafrica dove un emozionato ed incredulo Rodriguez ottenne cinque sold out fra la gioia di un pubblico in delirio di fronte a un idolo immaginato per anni e finalmente in carne e ossa di fronte ai loro occhi.
Tutta questa incredibile storia è stata raccontata nel 2012 dal regista svedese Malik Bendjelloul in Searching for SugarMan, vincitore del premio Oscar come miglior Documentario. E sembra assurdo, ma a rendere ancora più maledetta la storia di Sixto Rodriguez, la tragica scomparsa del regista che ne aveva così bene voluto e saputo raccontare la storia, all’età di soli 37 anni nel 2014.
Copyright foto: Roger Casas-Alatriste