Dopo essere uscito in Inghilterra lo scorso anno, è in arrivo ad ottobre anche in Italia l’ultimo lavoro di Peter Ackroyd, che vede protagonista il maestro della suspense Alfred Hitchcock.
Il saggista britannico, dopo aver scritto e trattato con ottimi risultati la vita di molti connazionali eccellenti del passato, da Shakespeare a Chaplin passando per Dickens, stavolta mette al centro del suo lavoro uno dei registi più controversi ,ma geniali della storia del cinema, con il libro Alfred Hitchcock.
Un bambino pieno di paure
Il filo conduttore che lega questo libro alle altre opere di Ackroyd è proprio il contesto in cui nasce il regista, un’Inghilterra di fine XIX secolo, molto più simile a quella dickensiana che a quella odierna. In questi anni il piccolo “Alfie” vive le esperienze che ne segneranno in maniera indelebile il carattere. Dalla formazione rigidamente cattolica nascerà il suo estremo senso del pudore e la sua repulsione per certi aspetti della sessualità, che genererà un senso di colpa e una frustrazione sessuale perenne. Una forte paura per le forze dell’ordine, che deriva la sua origine dalla punizione che il padre gli inflisse all’età di circa sette anni, quando per metterlo in castigo chiese a un suo amico poliziotto di tenerlo in carcere una notte. Si capisce quindi bene perché, per sua stessa ammissione:
Ero terrorizzato dalla polizia, dai padri Gesuiti, dalle punizioni fisiche, da tutto. Questa paura è alla base dei miei lavori
Le donne di “Hitch”
Nella vita privata ebbe una sola donna, la moglie Alma Reville, che fu soprattutto la sua miglior collaboratrice e assistente, con cui pare che una volta rimasta incinta non ebbe più rapporti sessuali proprio per la sua aberrazione verso qualsiasi forma di promiscuità che lo riguardasse in prima persona. Sul set invece ebbe fra le sue attrici protagoniste diverse star, fra cui la più amata fu sicuramente Grace Kelly “un vulcano coperto di neve”. Queste però sembravano ripercorrere sempre lo stesso modello di donna, che evidentemente ossessionava il regista, la bionda algida dalla pelle candida. Joan Fontaine, Ingrid Bergman, Vera Miles, Kim Novak, Janet Leigh, Tippi Hedren: il filo che le unisce è molto spesso e ben chiaro agli occhi di tutti. Quello che non tutti sanno è che ognuna di loro sembra abbia subito da parte del regista diversi tipi di pressioni e tormenti psicologi.
Mostro o solo sacrificio in nome dell’arte?
Ad ognuna delle sue star pare infatti che Hitchcock abbia riservato trattamenti sempre al limite. Convinse Joan Fontaine che tutto il cast di Rebecca-La prima moglie la odiava, per metterla nella stessa situazione che vive la protagonista del film. A Janet Leigh nascose nel camerino la madre mummificata di Psycho per tirarne fuori l’urlo che voleva sentire sotto la doccia. Per mostrare al mondo il fuoco dentro Grace Kelly, la costrinse a girare per cinque giorni una scena in cui veniva picchiata da un gangster, che la lasciò piena di lividi. Durante il periodo delle riprese il regista cercava di controllare la vita dentro e fuori dal set delle sue attrici per riuscire ad asservirle al suo totale controllo e spremerne fuori tutto ciò di cui avesse bisogno per raggiungere il risultato artistico aspirato.
Le diverse versioni su Alfred Hitchcock
Per François Truffaut, uno dei suoi più grandi e appassionati estimatori, è stato un autore: l’artista consumato, rivelandone, però, il lato brillante e luminoso. Per il biografo Donald Spoto in The Dark Side of Genius (del 1983), era un uomo inquietante e profondamente turbato che ha riversato i suoi demoni interiori sullo schermo e sulle sue attrici, restituendocene un’immagine totalmente oscura. Ackroyd, invece, ci fornisce un lavoro più convincente, offrendoci un Hitchcock artigiano laborioso, che non sapeva stare fermo, buttando tutta la sua passione nel cinema, come se temesse di fermarsi. Quando nel 1960 uscì Psycho, che si trasformò nel suo più grande successo al botteghino, divenne il regista più ricco di Hollywood, ma invece di godersi i frutti degli incassi stratosferici ottenuti, si buttò nella produzione di un altro film destinato a divenire un’altra pietra miliare della sua filmografia: Gli uccelli, dove, però, pensò bene di utilizzare uccelli veri, piuttosto che meccanici, che riempirono la protagonista di escrementi e beccate. Il prezzo dell’autenticità.
Una visione oggettiva
Insomma, prima dell’uscita di questo libro troverete già diverse recensioni che si concentrano sull’aspetto più maniacale e conturbante di Alfred Hitchcock, quasi a dipingerlo come un mostro dietro la macchina da presa. La verità che Ackroyd vuole lasciarci è ben più oggettiva, cercando di spiegare e raccontare cosa si nasconde dietro ad una foto e le scelte di vita riversate inevitabilmente in ogni suo lavoro. Un uomo che ha vissuto una vita fatta di forzature e repressioni, di polemiche e difficoltà, ma che ha saputo malgrado tutto elevarsi a maestro del cinema, usando mezzi e metodi talvolta al limite, ma regalando ai suoi film e ai protagonisti che li hanno interpretati un’immortalità artistica che non ha prezzo. Sta a ognuno di noi lettori decidere dove si trova la linea sottile che delimita certi confini e quando e perché sia stato giusto o sbagliato oltrepassarla.