Casa Verdi Milano: nella città meneghina esiste una casa di riposo per musicisti fondata da Giuseppe Verdi. Una struttura dedicata a chi ha fatto dell’arte la propria ragione di vita.
Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita! Credimi, amico, quella Casa è veramente l’opera mia più bella.
Queste sono le parole che Giuseppe Verdi scrisse al suo amico Giulio Monteverde qualche anno prima della sua morte, e l’orgoglio dell’artista è più fondato visto che ancora oggi questa casa di riposo è attiva e ha ospitato più di 1000 artisti giunti al tramonto della vita senza trovare fortuna. Un chiaro esempio di come l’arte e la musica elevano lo spirito, per questo si comprende appieno la spinta di solidarietà del maestro verso coloro che hanno cercato di far sì che dalla loro esistenza stillasse bellezza, e la scelta di garantire a queste persone che continuasse ad accadere fino alla fine.
Già nel 1888 Verdi fece realizzare, non lontano dalla sua tenuta a Villanova sull’Arda, un ospedale attrezzato per la popolazione locale. L’anno successivo diede inizio al proprio progetto filantropico per musicisti e cantanti in condizioni disagiate, scrivendo all’editore Giulio Ricordi:
Ho acquistato, è vero, tremila metri di terreno non fuori di Porta Vittoria, ma di Porta Garibaldi. Come altre volte, potendo disporre di qualche somma ho acquistato titoli di rendita, così ora offertami l’occasione ho comperato questo terreno, ma senza idea fissa di quello che ne farò o ne potrò fare. È denaro impiegato, bene o male non so, ma senza progetto.
Il progetto “casa di riposo per musicisti” si delineò piano piano finché nel 1895 venne stipulato un contratto d’appalto con questo titolo, mentre Verdi fece testamento stabilendo che i proventi delle sue opere venissero utilizzati per erigere la casa dopo la sua morte. La costruzione iniziò nel 1896 e venne completata nel 1899, ma Verdi non volle che alcun musicista vi entrasse fino alla sua morte, avvenuta poi nel 1901, per non apparire vanaglorioso.
La struttura cominciò quindi ad essere attiva dal 10 ottobre 1902, data non casuale, poiché coincide con il compleanno del suo fondatore. Come si legge nello Statuto, “Sono ammessi all’ospitalità cittadini italiani “addetti all’arte musicale” che abbiano compiuto l’età di 65 anni”, ovvero “maestri compositori, direttori d’orchestra, artisti del canto, professori d’orchestra, insegnanti di musica, coreuti e tutti coloro che hanno esercitato l’arte musicale per professione”. Anche il coniuge può essere accolto nella residenza, pur non essendo un addetto all’arte, e la retta (stabilita periodicamente dal CdA della Fondazione) ha un limite massimo dell’80% del reddito netto dell’ospite.
Non importa la carriera, il successo, i traguardi raggiunti: l’unico elemento che accomuna gli ospiti è avere dedicato la propria vita all’arte, che sia musica o teatro o canto, senza alcuna distinzione tra grandi nomi o personaggi minori. Nella visione di Verdi la struttura avrebbe dovuto accogliere persone, e permettere loro di mantenere dignità e libertà. Ovviamente non possono mancare strumenti musicali a disposizione degli ospiti per continuare la strada artistica intrapresa in gioventù in un ambiente di condivisione di passioni comuni, grazie anche ad un servizio di animazione che organizza varie attività ricreative musicali.
Anche solo passeggiare per la casa è un’esperienza unica: si possono osservare le collezioni d’arte di Verdi, i suoi arredi, ma anche tanti ricordi lasciati dagli ospiti illustri passati tra quelle mura come Puccini, D’Annunzio, Strauss. Insomma, tutti vivono in piena autonomia, possono portare oggetti da casa per decorare le stanze, arredi e abiti per sentirsi a proprio agio: non ci sono rigide regole da rispettare, inutili formalità. Il requisito per essere ammessi a vivere in questa speciale casa è l’essere stati “addetti all’arte musicale”, ma la struttura accoglie anche il coniuge dell’artista benché non “artista”.
Non è un ospedale né un ricovero, ma è davvero, nel senso più profondo che questa parola possa avere, una casa. Casa Verdi. La chiamano così, da sempre. Niente “Casa di Riposo per Musicisti”, anche se quel “riposo”, voluto proprio da Verdi è così intenso e geniale; niente parole come istituzione, fondazione, istituto. Semplicemente “Casa Verdi”. E lì è sepolto. Insieme alla sua consorte Giuseppina Strepponi. C’è la cripta, solenne ed un po’ austera, al limite del sovrabbondante, che è del poeta e librettista Boito e anche di suo fratello Camillo, architetto di questo palazzo attualmente di proprietà della Fondazione Giuseppe Verdi, alla quale il maestro ne fece dono prima di morire.ù