Retroscena e recensione sui generis di Suburra, il film-evento di Stefano Sollima, nelle sale da ottobre 2015.
Tratto dall’omonimo libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, Suburra prende il nome dal quartiere dell’antica Roma in cui non vigevano regole, dedito ai miserabili ed agli esiliati provenienti dall’alta borghesia. Un luogo di periferia che fa da sfondo alle corruzioni ed alla malavita, dove si incrociano le classi disagiate con quelle più abbienti, dove mondi paralleli si incontrano e scendono a patti, a compromessi nella più totale sregolatezza e segretezza.
Sollima rispolvera questo termine adattandolo o per meglio dire, spostandolo geograficamente, non più a quartiere di periferia, bensì allargandolo a tutto il centro di Roma facendoci accorgere di quanto lontana possa essere una via d’uscita ed una salvezza per coloro che credono ancora che esista qualcosa da salvare. Il regista ci toglie la pace; lo fa con una finezza agghiacciante, senza lasciare scampo a nulla. Lo fa ambientando la pellicola subito dopo la caduta del governo Berlusconi, nel 2011 e, come se non bastasse a farci immedesimare abbastanza, fa dimettere anche il papa.
Esalta con opulenza il cedimento e la decadenza del potere estremo sotto tutte le sue forme, compresa quella morale, la civiltà narrata all’interno del film non ha pietà e senso della redenzione, è un noir consigliato a tutti gli appassionati del film di genere. Nonostante la durata, – oltre le due ore – le scene non rallentano, non scendono mai nel “pesante” grazie ad una sorta di suspense strategiche, ma sorprendenti nell’insieme.
La vicenda ruota attorno a due bande criminali e l’intenzione di trasformare il litorale romano, Ostia, in una sorta di immenso luogo di perdizione, una seconda Las Vegas, facendo così intersecare tra loro le vite dei malavitosi interessati a questo progetto, consentendo allo spettatore di fare parte delle loro esistenze – anche secondarie – e dei loro interessi. Per enfatizzare ancora di più la violenza e la tristezza di una capitale che sembra non aver più possibilità di rialzarsi, Roma viene ripresa sempre piovosa, di una pioggia che entra nelle ossa, che spegne gli animi, così impertinente da non volerne più ascoltare il rumore, così costante che sembra parte dominante del marciume generale a cui Sollima ci fa assistere.
Tirando le somme, Suburra si presenta più come una disperata interpretazione dal sapore prettamente gangster americano, pensato per coinvolgere un pubblico più ampio, d’oltreoceano (non a caso è distribuito da Netflix) mantenendo, però, lo stile italiano che per la freddezza estrema si stacca dalle pellicole del Bel Paese a cui siamo abituati. Sollima ha portato aria di novità che non respiravamo da tempo, lo ha fatto senza paura di forzare la mano nel far coesistere tematiche realmente successe (le dimissioni del pontefice Ratzinger, avvenute nel 2013) per dare alla narrazione un senso più concreto ed empirico.
Ci regala, così, un quadro ancora più completo, realizzato con dovizia di particolari dei tempi in cui viviamo, per mettere in risalto la pericolosità del mondo di oggi, come se l’autore di Suburra, Di Cataldo nel 2013 sia dotato di uno strano tipo di preveggenza mentre si espande a macchia d’olio l’inchiesta di Mafia Capitale, ed ancora: la similitudine dei personaggi dei clan di Casamonica e Carminati e del ritrovamento vero e proprio di una katana. Il come si narri di una speculazione movimentata dallo IOR che trova luogo proprio verso il lungomare di Ostia fino alla caduta del regno di centro destra di Berlusconi.
Coincidenze? “Io non credo proprio” (per citare un certo Kadmon e metterla tutta sul lato umoristico). E allora cosa si fa? Nascondiamo solo altra polvere sotto i tappeti della morale; e come direbbero gli interessati, citando una frase cult del film: “Non l’ho ucciso io. Lo ha ucciso Roma.”
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